» Un’alternativa al Festival di Sanremo

Quest’anno sono riuscita a vedere 0 minuti di Festival di Sanremo. Zero minuti spaccati. Come? Le prime serate non è stato difficile, un telefilm in prima Tv, un libro da terminare, la biancheria da piegare da perfetta desperate housewife, una telefonata ad un’amica hanno provveduto egregiamente a salvarmi…

Ma ieri sera, sabato, la seratona finale… ammetto di aver avuto la tentazione di sintonizzarmi su Rai 1 per ascoltare Vecchioni, ma per fortuna sono uscita in tempo per una cena biodinamica (con prodotti anche di Giorgio, che fa con passione e per passione il lavoro del contadino) con spettacolo di poesia e musica annesso e connesso in quel di San Sperate (Ca).

San Sperate è un paese museo, ma soprattutto è un paese vivo, vivace, ospitale, aperto. Dove organizzano molti eventi, spettacoli, mostre e li fanno  bene.

Di fatti non me ne sono pentita: Arte in S(c)ena è stata una bella sorpresa, una serata piacevole, organizzata da 3 amiche con competenza e passione, tra cui la” mitica” Noemi.

recital

Il menu era di tutto riguardo, prodotti locali coltivati in biologico e/o biodinamico, l’allestimento della saletta che ci ha ospitato era accogliente, curato; lo spettacolo, “Poesie sparse” di Giuseppe Boy emozionante, e i musicisti hanno accompagnato il recital con musiche suggestive.

banchetto1

Come da locandina avevo portato con me un paio di poesie, sapevo che Boy forse avrebbe chiesto al pubblico se aveva qualche poesia in borsa da fargli leggere. Niente di mio per carità. Un paio di poesie di Carol Ann Duffy, poetessa scozzese. Boy ha letto La moglie di Pilato, perciò qui trascrivo Penelope, altrettanto intensa.

Penelope

All’inizio, guardavo la strada
sperando di vederlo arrivare
camminando disinvolto tra gli ulivi,
un fischio al cane
che lo piangeva col muso caldo sulle mie ginocchia.
Sei mesi di questa storia
poi ho capito che passavano giornate intere
senza che me ne rendessi conto.
Presi ago e filo, forbici e tela;
pensando di distrarmi,
invece mi ritrovai l’industria di una vita.
Ricamai una ragazza
sotto una sola stella – punto a croce, seta argento –
che rincorre la palla saltellante dell’infanzia.
Per l’erba scelsi tre toni di verde;
un rosa antico, un grigio ombra
per mostrare una bocca di leone che gargarizza un’ape.
L’albero lo ricamai col filo nocciola,
il mio ditale come una ghianda
spuntava dalla terra bruna.
Nell’ombra
avvolsi una fanciulla in un profondo abbraccio
col ragazzo-eroe
e mi smarrii del tutto
in un folle ricamo d’amore, desiderio, perdita e rimpianto;
poi guardai lui salpare
nei lenti punti d’oro del sole.
E quando gli altri vennero a prendergli il posto,
a disturbare la mia pace,
presi tempo.
Misi su una faccia da vedova, tenni la testa bassa,
facevo il lavoro di giorno e lo disfacevo di notte.
Sapevo a che ora della sera la luna
cominciava a sfilacciarsi,
la rammendai.
Fili grigi e marroni
inseguivano il pesce guizzante del mio ago
a formare un fiume che mai avrebbe raggiunto il mare.
Lo ingannai. Mi stavo disegnando
il sorriso di una donna al centro
del mondo, indipendente, intenta, soddisfatta,
e certamente non in attesa,
quando fuori dalla porta – troppo tardi – udii un passo ben
noto.
Inumidii il mio filo scarlatto
e ancora una volta infilai il centro della cruna.

Carol Ann Duffy