Milis, in provincia di Oristano, per me significa innanzitutto descrizioni dei suoi frutteti, dei celebri e celebrati aranceti. Passi letti durante le ricerche, oggi apprezzati appieno girando per i frutteti storici e le vie del paese.
Oggi in occasione di “Primavera in Giardino” a Villa Pernis c’era un’enorme esplosione di fiori, profumi, verde e naturalmente di aranciati agrumi.
Vittorio Angius annotò cosi nella prima meta’ dell’Ottocento:
“Le specie del genere cedro coltivate in Milis sono le seguenti: nella specie citrus medica vi è il cedro volgare che i sardi dicono cidru, il mostruoso che appellano spompia, il limonifoglio che dicono cidru piticcu, e poi altre specie che indistintamente significano col nome specifico di cedrau. Nella specie citrus limonum vi è il volgare, limoni-naturali, il nitido limoni-fini, il dolce limoni-dulci, il periforme perottu, il cedrato limoni de santu Gironi, il cedro di paradiso lima, il bergamio bergamotta. Nella specie citrus bigaradia vi è il volgare arangiu agru, il chinese chinottu. Nel cedro arancio vi è il volgare arangiu, portugali, arangiu de croju grussu, il chinese arangiu de croju suttili, il sanguigno arangiu sanguignu. È preferito agli altri quello che i milesi dicono arangiu de pisu, perchè da alberi provenuti per seme.
“Venditore di arance di Milis”. Litografia ottocentesca a colori disegnata da A.Pittaluga ed eseguita Vitasse-Paris.
Fonte dell’immagine: http://gentedisardegna.it/topic.asp?TOPIC_ID=7111
Angius continua: “La quantità degli alberi produttivi in quella estensione di miglia 3 o di metri 5550 in circa, contro la larghezza media di metri 420, si può computare prossimamente al vero di individui 300 mila poco più, senza porre in calcolo le piante giovanissime che sono affollate in piccoli spazi, che poi si sterpano e si danno al commercio.
La produzione fa stupire i forestieri, massime quando or qua or là frequentemente vengono sotto certi alberi che hanno maturato tanti frutti da poter ciascuno singolarmente caricare un carro, o empire una cerda, come dicono i milesi un gran sacco di stuoja di canna (cadinu), che ne cape non meno di 4000″.
In questo stralcio di citazione stupisce l’estensione dei frutteti, Angius parla di milioni di frutti in un passo successivo, ma anche la ricchezza della biodiversità coltivata, oggi in parte purtroppo andata perduta.
Resiste ad esempio nell’areale di Siniscola sa pompìa, ecotipo locale sino all’Ottocento diffusa in diverse parti dell’Isola, stando alle fonti storiche, resistono anche nelle zone di Muravera e dintorni alcuni cultivar locali di agrumi, resistono qui, aggrappate ad una tradizione agronomica imponente che tuttavia la globalizzazione agroalimentare sta rendendo asfittica.
Ho trovato particolarmente interessante lo stand di un’azienda siciliana che produce e vende frutti tropicali e varietà storiche di agrumi, la foto che ho scattato non rende giustizia alla bellezza intrigante dello stand (a mia difesa: pioveva e tirava vento, chi ha avuto il privilegio di esserci lo sa).
Immaginando di porre in mostra su un simbolico tavolo tutta la biodiversità coltivata ancora esistente in Sardegna di ortaggi e frutta, anche un solo esemplare per prodotto, ci vorrebbe un tavolo lungo decine di metri.
E questa ricchezza ovviamente e’ un bene, vuol dire che c’e’ ancora tanto da valorizzare, da scambiare, semi per il futuro, ma anche un male, perche’ questa biodiversità e’ a rischio biopirateria, oltre che erosione genetica, va protetta da frodi, piraterie ed espropriazioni.
Confido, come tanti altri appassionati e studiosi del patrimonio agroalimentare sardo, che si vada avanti con l’iter per approvare al più presto la legge regionale sulla biodiversità (Proposta di Legge n. 174, Tutela, conservazione valorizzazione dell’agrobiodiversità della Sardegna), con la creazione dei repertori regionali, il registro regionale delle varietà da conservazione, le Reti formate da tutti gli interessati, dagli agricoltori custodi alle comunità del cibo, agli addetti alla futura banca regionale del germoplasma e via discorrendo.
Ad maiora dunque.